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Indice glicemico: differenze tra le versioni

Da Prometeo Wiki.

(Scale di riferimento per l'indice glicemico)
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* '''specie e varietà''': le diverse specie e varietà di un frutto, di un ortaggio o di un cereale hanno un diverso GI;
 
* '''specie e varietà''': le diverse specie e varietà di un frutto, di un ortaggio o di un cereale hanno un diverso GI;
 
* '''grado di maturazione''': GI aumenta all’aumentare del grado di maturazione;
 
* '''grado di maturazione''': GI aumenta all’aumentare del grado di maturazione;
* '''rapporto tra carboidrati''': il  differente rapporto tra i diversi tipi di glucidi contenuti in un alimento determina una differenza di GI (ad esempio il rapporto amilosio/amilopectina per l'amido);
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* '''rapporto tra carboidrati''': il  differente rapporto tra i diversi tipi di glucidi contenuti in un alimento determina una differenza di GI (ad esempio il rapporto amilosio/amilopectina per l'[[amido]]);
 
* [[fibra alimentare]]: maggiore è il quantitativo di fibre, minore è il GI;
 
* [[fibra alimentare]]: maggiore è il quantitativo di fibre, minore è il GI;
 
* '''livello di raffinazione''': il livello di raffinazione aumenta l’indice glicemico dei cibi glucidici (pertanto gli alimenti integrali  hanno un indice glicemico inferiore rispetto a quelli raffinati; farina integrale vs farina 00);
 
* '''livello di raffinazione''': il livello di raffinazione aumenta l’indice glicemico dei cibi glucidici (pertanto gli alimenti integrali  hanno un indice glicemico inferiore rispetto a quelli raffinati; farina integrale vs farina 00);

Versione delle 18:13, 3 lug 2015

L'indice glicemico (GI-’’Glicemic Index) misura la velocità di un determinato glucide (zucchero o carboidrato) nell'innalzare il livello di glicemia ematica dopo il pasto, rispetto ad uno standard di riferimento che è il glucosio puro e per cui è stato assunto un valore assoluto di 100.

Questo parametro (a parità di grammi di carboidrati) permette di confrontare tra loro tutti i glucidi. Pertanto un alimento con elevato indice glicemico provoca un innalzamento repentino della glicemia (picco glicemico), mentre uno a basso indice glicemico determina un innalzamento più lento e graduale nel tempo.

Scale di riferimento per l'indice glicemico

Esistono diverse scale di riferimento per i valori di GI, in Italia la più diffusa ed utilizzata anche dall’Associazione Italiana Diabetici, riporta i seguenti valori:

  • fino a 40 l'indice glicemico è considerato MOLTO BASSO
  • da 41 a 55 l'indice glicemico è considerato BASSO
  • da 56 a 69 l'indice glicemico è considerato MEDIO
  • superiore a 70 l'indice glicemico è considerato ALTO

Alcuni autori tra cui Michel Montignac[1] tuttavia considerano più appropriata un’altra scala in quanto meglio rispetta la realtà fisiologica digestiva:

  • fino a 35 l’indice glicemico è considerato BASSO
  • tra 35 e 50 l’indice glicemico è considerato MEDIO
  • superiore a 50 l’indice glicemico è considerato ALTO

In base a quanto detto sopra appare chiaro che gli alimenti a basso GI, in virtù della loro lentezza nella digestione e nell’assorbimento, producono aumenti graduali di glicemia e di insulina nel sangue e per questo hanno dimostrato benefici per la salute. Non solo, uno studio del 2013 mostra come un’alimentazione con alimenti a basso GI sia capace di ridurre il colesterolo totale e la frazione LDL, senza però influenzare la frazione HDL e i trigliceridi plasmatici[2].

Fatta eccezione per gli zuccheri semplici (fruttosio, glucosio, galattosio) e i carboidrati puri (maltosio, lattosio e saccarosio) è molto difficile definire un indice glicemico preciso ed esatto per gli alimenti glucidici, costituiti sia da zuccheri che da proteine, grassi, sali minerali e vitamine.

Il parametro è influenzato da numerosi fattori:

  • specie e varietà: le diverse specie e varietà di un frutto, di un ortaggio o di un cereale hanno un diverso GI;
  • grado di maturazione: GI aumenta all’aumentare del grado di maturazione;
  • rapporto tra carboidrati: il differente rapporto tra i diversi tipi di glucidi contenuti in un alimento determina una differenza di GI (ad esempio il rapporto amilosio/amilopectina per l'amido);
  • fibra alimentare: maggiore è il quantitativo di fibre, minore è il GI;
  • livello di raffinazione: il livello di raffinazione aumenta l’indice glicemico dei cibi glucidici (pertanto gli alimenti integrali hanno un indice glicemico inferiore rispetto a quelli raffinati; farina integrale vs farina 00);
  • tempo di cottura: maggiore è il grado di cottura di un alimento maggiore è l’indice glicemico.

De Angelis e Pistolese[3] sostengono che in realtà il fattore fondamentale per la determinazione della risposta glicemica è la struttura fisica dell’alimento stesso; essa avrebbe un impatto molto più forte sulla risposta glicemica rispetto alla gelatinizzazione dell’amido o alla presenza di fibra.

In alcuni studi infatti sono stati osservati livelli più bassi di glicemia e di insulina in pazienti sia sani che diabetici, dopo un consumo di cereali integrali con indice glicemico medio (67), rispetto a pazienti che seguivano una dieta a base di pane bianco e patate e con GI alto (90)[4].

Heaton ha comparato la risposta glicemica in soggetti sani e diabetici, dopo il consumo di cereali integrali, cereali raffinati, farina integrale e farina raffinata, notando che in entrambi i gruppi, la risposta insulino-plasmatica aumenta gradualmente passando dai cereali integrali fino alle farine raffinate[5].

La struttura grezza degli alimenti quindi determina una più lenta risposta glicemica sia in soggetti diabetici, sia in soggetti sani, per il fatto che i processi di raffinazione tendono ad aumentarla[6].

Un recentissimo studio di Hidalgo[7] ha dimostrato che nel farro monococco la buona concentrazione di alcune sostanze antiossidanti (carotenoidi, tocoli, polifenoli e fitosteroli) e la bassa attività di alcuni enzimi (ß-amilasi e lipo ossigenasi) limitano la degradazione del cereale durante i processi di raffinatura, contribuendo al tempo stesso a mantenere eccellenti le proprietà nutrizionali di questo cereale.

Nel farro monococco e dicocco gli indici glicemici, in base a quanto affermato sopra, presentano le seguenti differenze:

  • farina di farro integrale: GI 45
  • farina di farro raffinata: GI 65
  • farro integrale (granella): GI 40
  • farro perlato (granella): GI 65

Tra tutti i cereali, il farro presenta un GI inferiore sia rispetto al grano (80-100), che al mais (50-80), che al riso (50-90). Il suo elevato contenuto di fibre e di elementi nutritivi benefici contribuisce alla prevenzione di insulino-resistenza, ischemie e obesità.

La stretta correlazione tra fibre e glicemia è data dal fatto che le fibre contenute nei carboidrati complessi (i cereali sono un esempio di carboidrato complesso) liberando gli zuccheri lentamente, regolano la glicemia senza innalzarla oppure abbassarla bruscamente. La lentezza della biodisponibilità degli zuccheri distribuisce l’apporto energetico, evitando sia l’eccessiva stimolazione dei picchi glicemici, sia la sensazione di mal di testa e svenimento causata dall’ipoglicemia (il così detto calo di zuccheri).

Il farro in generale, sia monococco che dicocco, pertanto può ritenersi un alimento funzionale poiché il grande quantitativo di fibre solubili ed insolubili normalmente contenute nei suoi chicchi, regola la glicemia, mantenendo la concentrazione di glucosio nel sangue costante nel tempo.

Questa tesi è ulteriormente avvallata da nutrizionisti e diabetologi che consigliano il farro come sostitutivo di altri cereali a tutti i pazienti che sono già affetti da diabete, ma anche a donne in gravidanza, al fine di prevenire il diabete gestazionale, che può insorgere durante la maternità, o come semplice alimento funzionale da assumere al fine di ridurre il rischio di diabete di tipo 2, che può insorgere in età adulta.

Note

  1. Dumesnil JG, (2001) Effect of a low-glycaemic index – low fat – high protein diet on the atherogenic metabolic risk profile of abdominally obese men". British Journal of Nutrition 557-568.
  2. De Angelis M. e Pistolese S. (2013). Aspetti salutistici del farro. In: Falcinelli M., Porfiri O., Torricelli R. (a cura di). Monteleone di Spoleto e il suo farro. Edizioni Etgraphiae, Foligno (PG): 83-91.
  3. De Angelis M. e Pistolese S. (2013). Aspetti salutistici del farro. In: Falcinelli M., Porfiri O., Torricelli R. (a cura di). Monteleone di Spoleto e il suo farro. Edizioni Etgraphiae, Foligno (PG): 83-91.
  4. Jenkins DJ, et al. (1988). Wholemeal versus wholegrain breads: proportion of whole or cracked grain and the glycaemic response. British Medical Journal 297, 958–960.
  5. Heaton KW, et al. (1988).Particle size of wheat, maize, and oat test meals: effects on plasma glucose and insulin responses and on the rate of starch digestion in vitro. American Journal of Clinical Nutrition 47, 675–682
  6. Jenkins DJ, et al. (1988). Wholemeal versus wholegrain breads: proportion of whole or cracked grain and the glycaemic response. British Medical Journal 297, 958–960
  7. Hidalgo H, and Brandolini A, (2013). Nutritional properties of einkorn wheat (Triticum monococcum L.). Journal of the Science of Food and Agriculture, 94, 601-612.