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La diffusione del farro e la sua coltivazione

Da Prometeo Wiki.

Versione del 23 mar 2014 alle 17:50 di Federico (Discussione | contributi)

Coltura di farro nelle colline interne del maceratese

La coltivazione del farro si è tramandata fino ad oggi lungo i diecimila anni che ci separano dal Neolitico. È verosimile ipotizzare che in alcune aree, come ad esempio la Valnerina (Umbria) e la Garfagnana (Toscana), la coltivazione delle relative varietà locali di farro dicocco non si sia mai interrotta. Tuttavia, nel corso della seconda metà del XX secolo, in seguito alla modernizzazione dell’agricoltura e al cambiamento delle abitudini alimentari, anche il farro ha subito lo stesso inesorabile destino di altre colture “minori” ed è gradualmente scomparso dalle rotazioni per sopravvivere come coltura “relitta” in ristrettissime aree marginali. A partire dagli anni ‘80, si è andata affermando una maggiore consapevolezza da parte sia del mondo scientifico che del mondo agricolo del valore della diversità genetica e della necessità di salvaguardare l’agrobiodiversità. Sono quindi cambiati gli obiettivi strategici delle politiche di sviluppo agricolo che hanno tenuto in considerazione anche altri fattori contingenti quali la sempre maggiore sensibilità dei consumatori nei confronti della qualità degli alimenti, la necessità di diversificare le produzioni agricole, l’introduzione di sistemi agricoli a basso impatto ambientale e la diffusione dell’agricoltura biologica. Tutto ciò ha favorito il ritorno in coltivazione di molte specie “minori” e, tra esse, il farro ha rappresentato il primo caso di recupero e valorizzazione di una pianta che rischiava di scomparire ed è per questo un interessante modello di riferimento. Va tuttavia messo in evidenza che la ripresa di interesse intorno ad una specie potrebbe – paradossalmente – rappresentare un diverso rischio di perdita di biodiversità perchè l’estensione della coltivazione in areali nuovi, l'introduzione di materiali genetici non autoctoni nelle aree tradizionali o anche banali inquinamenti meccanici, potrebbero causare inquinamenti genetici, perdita dell'identità varietale e confusione sul mercato, fattori forse più rischiosi della riduzione di coltivazione (Porfiri e Fiorani, 2002; Porfiri, 2004a; Porfiri, 2004b).

Il farro trova un'ottima collocazione all'interno di sistemi agricoli a basso impatto ambientale e biologici, grazie ad alcune sue caratteristiche morfo-fisiologiche e agronomiche. Infatti, è una specie molto rustica (adattabile a terreni poveri, marginali, di alta collina e montagna), con elevata capacità di accestimento e taglia elevata (caratteri che favoriscono la competizione con le erbe infestanti), adattabile a diversi interventi agronomici (semine in bulatura, pascolamento invernale, strigliature), in grado di garantire un minimo potenziale produttivo in tutte le situazioni.

La coltivazione interessa zone sia "tradizionali" sia di nuova introduzione. Le prime (esempio: Valnerina, Garfagnana, ecc.) sono le aree dove la coltura, con buona probabilità, non è mai stata abbandonata e dove sono da sempre state utilizzate le varietà locali, le varietà dei contadini, legate al territorio e alla sua storia.

Nei nuovi areali la coltivazione è realizzata con varietà reperite nelle zone tradizionali o con varietà "moderne", derivate da recenti programmi di miglioramento genetico. C'è una recente diffusione del farro anche in areali non tipici, fenomeno che sta creando situazioni di concorrenza sul mercato e che causa perdita di competitività alle zone tradizionali, favorisce la diffusione di materiali genetici diversi (provocando seri rischi di inquinamento genetico), e non garantisce la tracciabilità delle filiere.

Non esistono dati specifici sulle coltivazioni di farro in Italia, perchè nelle statistiche il dato è aggregato nella voce "altri cereali". È possibile stimare, sulla base di informazioni dirette reperite nelle aree di coltivazione e sul mercato, una superficie di circa 5000 ettari di farro con un piccolo incremento ogni anno, mentre si stimano circa un migliaio di ettari per lo spelta e poche decine per il monococco.