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La diffusione del farro e la sua coltivazione

Da Prometeo Wiki.

Versione del 30 nov 2013 alle 17:07 di Orianaporfiri (Discussione | contributi)

MODIFICARE TITOLO IN "DIFFUSIONE DEL FARRO" - non differenziare coltivazione da diffusione, di fatto sono la stessa cosa


La coltivazione del farro si è tramandata fino ad oggi lungo i diecimila anni che ci separano dal periodo del Neolitico. È verosimile ipotizzare che in alcune aree, come ad esempio la Valnerina (Umbria) e la Garfagnana (Toscana), la coltivazione delle relative varietà locali di farro dicocco non si sia mai interrotta. Tuttavia, nel corso della seconda metà del XX secolo, in seguito alla modernizzazione dell’agricoltura e al cambiamento delle abitudini alimentari, anche il farro ha subito lo stesso inesorabile destino di altre colture “minori” ed è gradualmente scomparso dalle rotazioni per sopravvivere come coltura “relitta” in ristrettissime aree marginali. A partire dagli anni ‘80, si è andata affermando una maggiore consapevolezza da parte sia del mondo scientifico che del mondo agricolo del valore della diversità genetica e della necessità di salvaguardare l’agrobiodiversità. Sono quindi cambiati gli obiettivi strategici delle politiche di sviluppo agricolo che hanno tenuto in considerazione anche altri fattori contingenti quali la sempre maggiore sensibilità dei consumatori nei confronti della qualità degli alimenti, la necessità di diversificare le produzioni agricole, l’introduzione di sistemi agricoli a basso impatto ambientale e la diffusione dell’agricoltura biologica. Tutto ciò ha favorito il ritorno in coltivazione di molte specie “minori” e, tra esse, il farro ha rappresentato il primo caso di recupero e valorizzazione di una pianta che rischiava di scomparire ed è per questo un interessante modello di riferimento. In termini di erosione genetica, d’altro canto, è plausibile affermare che la ripresa di interesse intorno ad una specie potrebbe – al contrario – essere ugualmente causa di perdita di variabilità, soprattutto in relazione all’identità genetica delle varietà locali, sia per l’estensione della coltivazione in areali nuovi sia per l’”introgressione” di materiali genetici non autoctoni nelle aree tradizionali e anche per banali inquinamenti meccanici (Porfiri e Fiorani, 2002; Porfiri, 2004).

Il farro trova un'ottima collocazione all'interno di sistemi agricoli a basso impatto ambientale e biologici, grazie ad alcune sue caratteristiche morfo-fisiologiche e agronomiche. Infatti, è una specie molto rustica (adattabile a terreni poveri, marginali, di alta collina e montagna), con elevata capacità di accestimento e taglia alta (caratteri che favoriscono la competizione con le erbe infestanti), adattabile a diversi interventi agronomici (semine in bulatura, pascolamento invernale, strigliature), in grado di garantire un minimo potenziale produttivo in tutte le situazioni.

La coltivazione interessa zone sia "tradizionali" sia di nuova introduzione. Le prime (esempio: Valnerina, Garfagnana, ecc.) sono le aree dove la coltura, con buona probabilità,non è mai stata abbandonata e dove sono da sempre state utilizzate le varietà locali, le varietà dei contadini, legate al territorio e alla sua storia.

Nei nuovi areali la coltivazione è realizzata con varietà reperite nelle zone tradizionali o con varietà "moderne", derivate da recenti programmi di miglioramento genetico. C'è una recente diffusione del farro anche in areali non tipici, fenomeno che sta creando situazioni di concorrenza sul mercato e che causa perdita di competitività alle zone tradizionali, favorisce la diffusione di materiali genetici diversi (provocando seri rischi di inquinamento genetico), e non garantisce la tracciabilità delle filiere.